ULTIMA CENA: UN'ETERNA ISTANTANEA
Visitare il refettorio di Santa Maria delle Grazie è certamente una delle esperienze più singolari e intense che si possano provare: il passaggio attraverso le porte automatiche sancisce l'ingresso in una dimensione atemporale, in cui anche lo spazio sembra piegarsi davanti al capolavoro, alterandosi ai nostri occhi. La curiosità insaziabile reclama la propria parte e costringe il visitatore ad appagarla il più velocemente possibile, facendo convergere lo sguardo sull'opera.
Per prima cosa, nostro malgrado, si nota lo stato di deperimento dell'affresco: è noto che Leonardo non amava questa tecnica, era solito, invece, sovrapporre strati di pittura, modificare dettagli, ripensare anche interamente i propri dipinti. Chiaramente questa sua abitudine, che diventa cifra distintiva della sua arte, poco si adatta alla tecnica dell'affresco, che richiede una rigida divisione in giornate e non prevede ripensamenti di alcun genere. Per questi motivi, Leonardo decide di utilizzare una tecnica sperimentale, impiegando colori a tempera all'uovo come legante su una superficie dura e levigata, come stesse dipingendo su tavola. Il dipinto a secco, soprattutto su una parete esposta ai vapori della cucina, ambiente contiguo al refettorio, a cui è collegato attraverso una porta posta subito sotto la figura centrale di Gesù, si espone a una inesorabile disgregazione, come constata già il Vasari circa mezzo secolo dopo il completamento. Fortunatamente, però, l'ultimo restauro, condotto con tecniche d'avanguardia nel settore, ha permesso il recupero di tonalità cromatiche e di dettagli insospettati. L'attento lavoro dei restauratori ci permette, tuttora, di ammirare il modello -forse più emblematico- della concezione artistica di Leonardo: la pittura, per lui, è uno strumento per mettere in pratica conoscenze scientifiche frutto dell'instancabile osservazione della natura, ma, nel contempo, questi suoi studi si mettono al servizio della pittura stessa. In questo senso, considerare Leonardo un pittore risulta assolutamente riduttivo: per comprendere anche un solo frutto del suo intelletto, sarebbe necessario capirne a fondo la vita, l'opera, la mente nella sua interezza, intraprendendo una ricerca folle perché impossibile. Ben consapevoli di questo nostro limite, ci accingiamo a evidenziare aspetti interessanti e spunti che l'Ultima Cena ci offre.
Realizzata tra il 1494 e il 1497 per commissione di Ludovico il Moro, duca di Milano, il cui stemma è riportato nelle tre lunette sopra l'opera, l'Ultima Cena rappresenta il momento culminante dell'ultima sera di Gesù, come è raccontata dal Vangelo di Giovanni:
«In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardavano l'un l'altro, non sapendo bene di chi parlasse.Leonardo cattura il momento esatto della rivelazione: le parole di Gesù fendono l'aria e provocano molteplici reazioni agli Apostoli seduti accanto a Cristo. Come nota Argan, la figura di Cristo è l'unica a essere isolata, per via della sua natura divina, nettamente in contrasto con il turbamento degli uomini. I discepoli, divisi in gruppi di tre, presentano un campionario di mimica, di espressioni, di gestualità: Leonardo rappresenta le emozioni, conducendo un'indagine che potremmo definire psicologica dei moti dell'animo degli uomini. A seconda della distanza da Gesù, i comportamenti dei discepoli cambiano: sembra che i sei più vicini siano completamente sbalorditi, i restanti si chiedono se abbiano sentito bene, come se l'aria avesse dissipato progressivamente il suono, un concetto preziosamente fisico. Nonostante il tempo sia bloccato, non si può fare a meno di immaginare questi personaggi in movimento, come fossero attori di una rappresentazione teatrale. Staticità e dinamicità convivono virtuosamente nel Cenacolo, conferendogli insieme movimento e monumentalità, quotidianità, come quella dei monaci che si riunivano a mangiare più volte al giorno, intonando sermoni, e tragicità. L'attenzione per i dettagli naturalistici non è trascurata neanche in un ambiente chiuso come il cenacolo: oltre alle ghirlande nelle lunette, infatti, le tre finestre sul fondo della stanza, offrono uno scorcio di paesaggio, grazie al quale si nota anche la nota prospettiva aerea, basata sul concetto di aria grossa.
Psicologia, fisica, teatralità: tutto questo convive nell'opera di un pittore con una mentalità da scienziato, alimentato da una curiosità tipica di un uomo del Rinascimento italiano.
Vedere quest'opera a Milano qualche anno fa è stata veramente un'esperienza indimenticabile. Consiglio vivamente a tutti di farci un salto!
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